Santo Anzà

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    Anzà, la passione di un vulcano
    Per assecondare il suo amore per la bici, il siciliano è emigrato in Toscana a 16 anni e non se ne è pentito: "Il ciclismo è libertà e avventura. Una continua scoperta. Di nuovi percorsi o di nuovi Anzà. Qualche volta più forte, qualche volta meno..."

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    La vittoria di Santo Anzà al Trofeo Melinda 2007. Mosna


    MILANO, 22 novembre 2007 - Sotto il vulcano si respirava la leggenda dei fratelli Virgillito. Correvano ai tempi di Bartali e Coppi, e se non fosse stato per la lontananza dal mondo delle corse - Motta Sant’Anastasia, in provincia di Catania, ai piedi dell’Etna - forse avrebbero potuto competere con Giulio e Gino, con Fausto e Serse, non a caso coppie di fratelli a due ruote. Santo Anzà è cresciuto con il mito dei fratelli Virgillito e con la passione del papà Filippo. Anche lui devoto alla bici: prima ciclista nel senso del corridore, poi ciclista nel senso del costruttore di bici, infine ciclista nel senso di chi dirige una squadra, il Gruppo sportivo cicli Anzà.
    - Subito bici?
    "Prima un po’ di tutto: calcio, campestre, anche bici. Una bici blu, manubrio da corsa, la scritta "Cicli Anzà". A 6-7 anni la prima corsa. Erano minisprint, 200 m, sul pavè: partiti in due, e vittoria. Quando c’erano più concorrenti, si facevano eliminatorie e finali. Ma perdevo regolarmente. Mi accompagnava mia madre, Antonina, perché mio padre doveva rimanere nel negozio: non mi diceva niente, mi lasciava fare, vincere e perdere, appassionarmi e divertirmi".
    - Poi?
    "Un giorno mio padre mi disse di scegliere: "Non possiamo più spendere soldi a mandarti dappertutto". Scelsi la bici. E a 16 anni mi portò in Toscana".
    - Emigrò?
    "Più o meno. Avevo fatto la terza media, mi ero iscritto alla prima superiore, informatica, studiavo sul personal computer, e il primo anno ero stato anche promosso. Lasciai casa, scuola, amici e vulcano. Ma da Valentino Spinelli, presidente della mia nuova società, trovai una seconda famiglia. E due anni più tardi incontrai Caterina, che sarebbe diventata mia moglie. Insomma, mi è restata la nostalgia solo per la mia terra".
    - Ne valeva la pena?
    "Il ciclismo ce l’avevo nel sangue. Anche mia sorella Carmen, per un periodo, ha corso. Il ciclismo è aria aperta, libertà, avventura. Da piccolo cominciai a esplorare intorno a casa, poi intorno al quartiere, quindi intorno al paese, infine intorno al vulcano. Era una continua scoperta. Ed è così anche adesso. Se non si scoprono nuovi percorsi, si può sempre scoprire un nuovo Anzà. Qualche volta più forte, qualche volta meno pronto".
    - L’Anzà più forte?
    "Mi difendo in salita. Per emergere, le corse devono essere a eliminazione. Così è andata al Trofeo Melinda 2007, la mia corsa perfetta. Ci ero già andato vicino nel 2006: quarto. Stavolta non ho sprecato nulla, consumavo il meno possibile, mai speso l’1% in più di quello che mi era indispensabile. E al momento giusto sono scattato. E ho vinto".
    - L’Anzà quasi più forte?
    "Il Giro del Lazio 2007. Una corsa sprecata. Sono partito troppo forte, mancavano 4 chilometri, e mi hanno ripreso in volata: non avevo più gambe. Se la stessa azione l’avessi fatta ai meno 2,5, non mi avrebbero più ripreso. Ma il ciclismo è fatto di attimi: bisogna saper cogliere quello giusto. Ed è uno solo".
    - Tiralongo, Caruso, Napolitano, Visconti e Nibali: è il momento dei siciliani?
    "Per correre bisogna emigrare al nord. Noi siciliani non siamo più forti degli abruzzesi o dei calabresi. Forse abbiamo solo più voglia di arrivare. Adesso abito a Carmignano, vicino a Prato: un paesino in cima a una salita di 2,2 chilometri, con punte al 5-6 per cento. Volendo, e volando, si può fare con il 53. Ogni volta che esco da casa, questa salita mi tocca farla per tornarci. E’ terra di ciclismo: qui abita anche l’ex pro Baronti".
    - Ha già ripreso ad allenarsi?
    "Quattro volte la settimana in palestra, tre volte in bici. Uscite con il rapporto fisso, un paio d’orette, per riabituare la gamba. Bastano quattro giorni senza salire in bici per trovarla strana, diversa, più grande, poi a poco a poco le misure tornano perfette. La bici dà quello che riceve: neanche quando sei al massimo, le gambe girano da sole. Però quando sei in forma, ti sembra impossibile che gli altri si stacchino e tu rimanga lì con i migliori".
    - Ma la fatica?
    "Il bello di quando si va forte è la sensazione di non fare fatica. Solo quando vai forte, ti accorgi di quanto andavi piano. Poi, solo quando ti staccano, ti ricordi di quanto andavi forte".
    - Nel 2008 correrà con Simoni.
    "Era il mio idolo. Perché scalatore, perché grintoso, perché sincero. Uno che dice quello che pensa, a costo di pagarne le conseguenze. Sognavo di poter correre proprio con lui. Al Giro, se lo faremo, se lo farò, pur di aiutarlo gli darò anche il midollo".

    Marco Pastonesi - gazzetta.it
     
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11 replies since 23/11/2007, 00:12   1227 views
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