Daniel Oss

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  1. SarriTheBest
     
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    Scopriamo il mondo di Daniel Oss
    Milano-Sanremo e Gand-Wevelgem non ci avranno regalato tanti sorrisi in termini di risultati finali, ma sicuramente ci hanno fornito alcune indicazioni sui prospetti futuri: Daniel Oss, trentino classe '87 della Liquigas-Doimo, è stato uno dei principali protagonisti delle due gare, la prima in appoggio a capitan Bennati, la seconda in prima persona, giungendo al traguardo al 4° posto dopo una condotta di gara assai gagliarda. Sfruttiamo il periodo di riposo dopo le fatiche del Nord per farci raccontare da lui come è arrivato fin qui.

    Come ti sei ritrovato in sella ad una bici?
    «Ero ragazzino, avevo 7 anni, con mio papà la domenica andavo spesso a fare delle passeggiate in mountain bike. Da lì al tesseramento il passo non è stato lunghissimo».

    La prima società?
    «US Aurora Trento, categoria G1».

    La prima gara?
    «Diciamo "garetta". Rovereto, meno di 20 km da casa, ho sùbito vinto. Ma fisicamente sono sempre stato più grande dei miei coetanei, quindi nelle categorie giovanili spesso mi veniva facile arrivare davanti a tutti».

    Tutta la trafila delle giovanili è stata in Trentino, parentesi dilettantistica con la Zalf a parte?
    «Diciamo di sì, anche se da Juniores ho potuto contare su una doppia affiliazione toscana, l'Aquila Ganzaroli, che mi ha permesso di crescere tanto, visto che il movimento toscano è di tutt'altra caratura rispetto a quello trentino».

    Quando hai capito che il ciclismo poteva diventare il tuo mestiere?
    «Da Juniores qualche domanda inizi a fartela, visto che non sono certo i campionati italiani vinti da Esordiente a fartici pensare. Poi da dilettante, quando finisce la scuola, inizi a vedere due soldini, e allora arriva anche qualche risposta. Ma in realtà alla domanda "Posso vivere o no di ciclismo?" non credo di poter ancora rispondere; sto ancora imparando».

    Hai corso solo per tre anni tra i dilettanti: com'è stato il passaggio tra i professionisti?
    «Duro, ma sapevo che sarebbe stato così. Credo sia anche arrogante pensare di poter spaccare il mondo da subito. C'è da prendere le misure con la categoria, con gli avversari, con i ritmi, con i compagni, con un sacco di cose: è difficilissimo emergere subito. Io comunque posso ritenermi soddisfatto anche perché lo scorso anno ho accumulato tanta esperienza in corse, come quelle del Nord, che mi erano state indicate come adatte: le ho provate, mi sono piaciute. E poi il ciclismo non è solo vincere: correrebbero davvero in pochi se fosse così. Riuscire a trovare spazio, lavorare per gli altri, migliorare continuamente, anche queste sono soddisfazioni».

    Sappiamo dei tuoi trascorsi in pista. Farà solo parte del passato?
    «Ho sempre fatto pista, sin da allievo. Poi l'affare è diventato più serio quando sono diventato juniores, con le convocazioni in nazionale. La pista ti offre una formazione importante, ma poi quando passi dilettante ti trovi nella categoria "open" e ti trovi a competere con corridori che hanno molti più anni e più esperienza. Trovai delle difficoltà in quella fase, quindi decisi di dedicarmi un po' di più alla strada, anche perché arrivavano buoni risultati e sentivo odore di professionismo. Ma non è da escludere un ritorno alla pista, visto che con il velodromo coperto la situazione pare migliorata anche in Italia: questo è fondamentale per le generazioni future, ma anche per la mia generazione non è una cosa da poco».

    Hai mai pensato a quale mestiere avresti fatto se non fossi diventato professionista?
    «Ho finito la scuola superiore diplomandomi geometra. Non so se avrei continuato gli studi, ma quell'ambito mi piaceva e credo che avrei preso quella strada».

    Quando non corri quali sono i tuoi hobby?
    «Mi piace moltissimo sciare d'inverno. Negli ultimi anni ho avuto poco tempo, ma evitando situazioni pericolose ed usando buon senso sciare è una cosa di cui non posso fare a meno».

    Oltre allo sport?
    «Sicuramente la musica. Ho l'i-Pod e l'i-Phone carichi di musica, soprattutto rock».

    Dovessi scegliere un sottofondo musicale per questi primi due anni da pro'?
    «Eh, difficile da dire: ci sono stati momenti più "depressi" da Nirvana, momenti più "duri" da AC/DC, fino ai momenti più spensierati da Bastards Sons of Dioniso».

    E il sottofondo dell'ultima Gand-Wevelgem?
    «(ride) Una roba tosta, con tanta batteria rullante...».

    Vedendo quello sprint, in tanti si sono chiesti se riuscirai mai ad essere un vincente o se invece sarai costretto ad arrivare da solo per gioire.
    «Io corro sempre per vincere. Soprattutto quando nel finale sono davanti, il mio unico pensiero è cercare il modo per poter vincere. Detto questo, ho 23 anni e sono al 2° anno da pro', e quest'anno sono andato forte in corse che lo scorso anno ho finito senza particolari acuti. Quindi, proseguendo con il miglioramento, io penso che possa anche arrivare quel colpo di pedale e quell'esperienza che possano farmi vincere volate di gruppetti ristretti, come in realtà succedeva anche da dilettante. E poi, mettiamoci anche che alla Gand sono arrivato 4° ma davanti c'erano corridori "della madonna"...».

    A proposito, l'affaire Kuschynski-Freire: genialata del bielorusso o scelta studiata?
    «È stata una sua improvvisata. Prima di quel frangente ci eravamo accorti che in due o in tre saltavano i cambi, per cui Kuschynski ha provato a non chiudere un piccolo buco per far fare un po' di fatica a Freire, che è rimasto fregato. Poi nel finale avrei voluto provare ad anticipare, ma negli ultimi 10 km si è andati fortissimo e non c'è stato modo».

    Il programma delle prossime gare?
    «Sono in fase di scarico ma mi concedo volentieri il lusso di partecipare al Giro del Trentino, la corsa di casa mia, in appoggio ai capitani che correranno il Giro d'Italia. Poi sarà tempo di un breve ritiro in altura per riprendere l'attività nel mese di giugno».

    Correrai il Tour de France?
    «Dovrei. Non c'è niente di sicuro, ma nei programmi è scritto così».

    Ultimissima curiosità: il pugno sul manubrio sul Lungomare Italo Calvino. Che significato aveva?
    «È stato un gesto istintivo, di tensione, di adrenalina e di dispiacere. Ecco, dispiacere è il termine più adatto. All'inizio della Sanremo sono stato male, avevo problemi allo stomaco e non pensavo di finirla. Poi alla fine del Poggio mi sono ritrovato davanti, mi sono voltato ed ho visto Bennati: "Ora tocca a noi", penso. Quando è partito Pozzato l'ho messo nel mirino e per un chilometro abbondante ho mantenuto i 60 km/h. Il pugno sul manubrio è il dispiacere di essere arrivati fin lì e di non aver vinto: Bennati se lo meritava».

    Mario Casaldi - cicloweb.it
     
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13 replies since 30/3/2010, 21:00   369 views
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