Donne, Bronzini all'ACCPI: «Meritiamo più spazio»

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    Donne, Bronzini all'ACCPI: «Meritiamo più spazio»
    L’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani accoglie favorevolmente le richieste delle cicliste azzurre, che negli ultimi mesi attraverso la stampa e non solo hanno alzato la voce per attirare l’attenzione sul movimento femminile di casa nostra. Come hanno sostenuto recentemente due bandiere del mondo delle due ruote italiano, Giorgia Bronzini e Noemi Cantele, il ciclismo che tante medaglie iridate ci regala merita maggiore considerazione e tutela. L’ACCPI si sta impegnando in questo senso ad aprire un dialogo con le ragazze che praticano ciclismo per cercare insieme a loro una via per garantire opportunità e garanzie pari ai colleghi uomini.
    Questo viaggio alla scoperta dei problemi e delle necessità del ciclismo femminile non poteva che iniziare con le richieste delle cicliste stesse, di cui si fa portavoce la bicampionessa del mondo Giorgia Bronzini, che spiega: «Le italiane danno al ciclismo più di quello che ricevono. Il nostro movimento sta crescendo nei numeri e nel valore, e con risultati che, almeno negli ultimi anni, gli uomini non sono riusciti a conquistare. Cosa ci manca? Le strutture: dai dirigenti alle squadre. Mancano soprattutto i soldi e gli sponsor. All’estero hanno capito che le donne migliorano il ciclismo nello spettacolo, nell’immagine e nella cultura. E alcune fra le maggiori squadre hanno aperto un settore femminile: il costo è limitatissimo, perché l’organizzazione esiste già, dai meccanici ai massaggiatori, dalle biciclette alle ammiraglie».
    Com’è essere una ciclista nel nostro paese?
    «In Italia si fa solo una grande fatica. Tant’è vero che, quando mi chiedono un consiglio sul ciclismo femminile, io dico subito che è meglio smettere, o non cominciare neanche, e dedicarsi ad altro. Poi però aggiungo che, se ci sono voglia e passione, allora il ciclismo regala emozioni e avventura, disciplina e carattere».
    Dovremmo prendere da esempio gli altri sport?
    «Sì, non c’è proprio paragone. Nel tennis si è giunti quasi alla parità nella tabella premi. Nel basket e nella pallavolo, ma anche nello sci e nel nuoto, ci sono più attenzione e spazi. Noi siamo ancora relegate a ruoli da comparse».
    Pat McQuaid, durante una conferenza stampa indetta poco prima che partisse il campionato del mondo che ti ha visto entrare nella storia come prima atleta italiana a conquistare il bis iridato, ha affermato che, il ciclismo femminile non è pronto per ottenere tutele sindacali come, per esempio, un minimo salariale per tutte le atlete.
    «Io dico, invece, che questo momento è giunto e già da un po’: il ciclismo femminile è pronto a fare dei passi avanti importanti. Con la maglia che ho l’onore di indossare cercherò di dar voce alle esigenze delle cicliste, come già sta facendo magistralmente Noemi Cantele (componente della Commissione Etica dell’Unione Ciclistica Internazionale, ndr). Già a Copenhagen avrei voluto parlare con il presidente dell’UCI per fargli notare che la mia maglia vale tanto quanto quella di Cavendish e per fargli un elenco dei motivi per cui noi donne meritiamo di più».
    L’ACCPI cosa può fare concretamente per voi?
    «Per prima cosa potrebbe impegnarsi insieme alle altre associazioni nazionali per far sì che la nostra categoria sia riconosciuta come professionistica a tutti gli effetti. Finché saremo considerate delle dilettanti, non potremo esigere un trattamento pari ai nostri colleghi professionisti».

    di Giulia De Maio
    da tuttoBICI di dicembre
     
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