Libri: L'affaire Pantani, una tragedia italiana

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    L'affaire Pantani, una tragedia italiana
    UN LIBRO appena uscito, di Philippe Brunel, riapre il caso Pantani. L'affaire Pantani, visto che il libro (Vie et mort de Marco Pantani) è uscito in Francia. Brunel, 51 anni, è un giornalista dell'Equipe, di quelli cresciuti nel solco di Pierre Chany. Ha seguito molti Giri, molti Tour, parla un discreto italiano. Siamo amici. Non è un dettaglio fondamentale, lo ammetto, ma serve a chiarire che non potrei essere amico di uno sparapalle (e neanche Philippe, del resto). Sapevo dell'idea di questo libro, Philippe ci ha lavorato sodo negli ultimi tre anni, come se avesse un debito da chiudere con quel ciclista morto. Morto di che? Di overdose, questa è la risposta della Legge e noi ci abbiamo creduto subito. Tutti, o quasi. Forse era la risposta che faceva più comodo, l'ultimo atto di un campione osannato e poi piombato nella polvere. Dopato e drogato. La droga dello sport, per andare più forte, e quella da sballo, per sballare.

    Brunel accompagna l'ombra di Pantani dal 5 giugno 1999 al 14 febbraio 2004. A differenza di altri libri usciti in Italia, questo non si occupa delle grandezze delle miserie di una vita finita molto presto: il Galibier, l'Alpe d'Huez, tutto questo è risaputo. E' la zona d'ombra, quel vortice sempre più cupo e vasto che attrae Pantani, ad attrarre Brunel, dopo la definitiva discesa agli inferi di Pantani. La chiave per capire tutta la storia è da cercare negli ultimi mesi o sta tutta in quella mattina del 5 giugno a Madonna di Campiglio? Perché l'inchiesta ha scartato quasi subito le alternative, il suicidio e l'omicidio, o anche semplicemente la possibile presenza di altre persone accanto al campione nella notte della tragedia?

    Confesso che la mia prima reazione, finito il libro, è stata questa: a porre domande anche scomode, ad aprire qualche falla nella versione ufficiale, doveva proprio pensarci un francese? O un belga, uno spagnolo, avrei avuto la stessa reazione. Perché non uno di noi, un giornalista italiano, di quelli che hanno seguito Pantani nel bene (apparente) e un po' meno nel male (reale)? E mi sono risposto che a noi andava bene così, un po' a tutti andava bene così. Un incidente, via. Per ricostruire i fatti, Brunel è stato a lungo nella Romagna d'inverno, e ne racconta i toni lividi, lo squallore, l'assenza di turisti ma la presenza di spacciatori, di hostess che fanno le puttane o viceversa, e questo era un passaggio obbligato. Ma ha anche visto foto e filmati dell'autopsia, ha scoperto particolari macabri, come quello del perito che, per timore che il cuore di Pantani fosse trafugato dall'ospedale, se lo porta a casa, in un contenitore apposito, e lo nasconde in cucina, senza dire nulla alla moglie.

    A un certo punto mi son messo a pensare che l'inchiesta sulla morte di Pantani assomigliava un po' a quella fatta per Luigi Tenco, 40 anni fa a Sanremo. Un morto scomodo, da qualunque parte lo si prendesse. Un'indagine da chiudere alla svelta. E che restasse chiusa. Ma, scrive Brunel, tutti i testimoni che hanno visto la stanza del residence Le Rose hanno descritto in modo diverso i mobili spostati. Ma, aggiunge, sono state trovate due scatole con resti di cucina cinese, che non risultano ordinati da Pantani (che non amava quel cibo) né dalla reception. Ma, insiste, dalle foto scattate al cadavere risultano ferite al naso, al collo e alla testa non giustificate dall'autopsia. Ed è abbastanza improbabile che un uomo solo, non al comando ma inchiodato alla solitudine, timoroso di essere riconosciuto, abbia letteralmente ribaltato un appartamento, bagno incluso, senza neanche rompersi un'unghia, senza che nessuno udisse i forti rumori che senza dubbio provocava.

    In questi giorni è ancora in corso il processo agli spacciatori, cioè agli ultimi che avrebbero visto vivo Pantani, e sui giornali (sportivi e no) non si trova una riga. Nessun avvocato Taormina, nel caso Pantani. E noi pensiamo a Garlasco o addirittura all'Olgiata, ad altre morti misteriose. Quella del campione più popolare degli ultimi 30 anni non sembra avere più motivi d'interesse. Tutto chiaro, nessun mistero. C'è stato anche un film in tv e, tra i tifosi, ognuno s'è tenuto la sua idea. Uno che ha barato. No, un grande. Un cattivo esempio per i bambini. No, un perseguitato. Ci sono monumenti per Marco Pantani, e striscioni, e ancora ce ne saranno, perché il ciclismo è lo sport più ricco di memoria ed effettivamente il modo di correre di Pantani (più ancora delle sue vittorie) prendeva il cuore, dava emozioni forti . E anche le sue parole, anche quelle definite del suo testamento, liquidate alla svelta come vaneggiamenti di uno ormai fuori di testa, prendevano il cuore.

    Era diverso, Pantani. Più profondo della media dei ciclisti, e dava la sensazione di avere dentro un grumo di rabbia per qualche violenza patita, qualcosa che non avrebbe mai detto a nessuno. Il mio cuore, mi disse una sera con una metafora da ciclista, dalla fiamma rossa (l'ultimo km) ai 200 metri si può avvicinare, poi basta, non un metro di più. Ho pensato, leggendo Brunel, a quel suo cuore chiuso in una scatola, nascosto in una cucina, e a quanti sogni poteva ancora contenere, l'ultimo giorno, San Valentino, o quante illusioni, quanti rimpianti.

    Il libro di Brunel è una controinchiesta da cronista vero, con tanto di date e orari. Così lo si può leggere, come il racconto di un'agonia molto lunga e poco chiara. Ho chiuso il libro con un brutto pensiero: se Marco Pantani era molto solo da vivo, molto più solo è stato lasciato da morto.

    di Gianni Mura
    da Repubblica del 26 ottobre 2007


    «Vie et mort de Marco Pantani" è il libro-inchiesta che l'inviato del quotidiano sportivo L'Équipe Philippe Brunel ha dedicato al campione romagnolo, uscito ieri in Francia per l'editore Grasset (266 pag, 17,90 euro). Brunel, che ha seguito tutta la parabola professionale e umana di Pantani, ne ha ripercorso febbrilmente, in tre anni di ricerche, gli ultimi anni di vita: dallo choc del controllo sanguigno che lo portò all'esclusione dal Giro ’99, alle ore disperate nel residence di Rimini in cui fu trovato morto. Per poi mettere sotto accusa, svelandone le sorprendenti contraddizioni, l'inchiesta giudiziaria.
     
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  2. Joey Ramone GN
     
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    La mamma di Pantani accusa ancora: me l'hanno ucciso

    Passano gli anni ma il dolore non conosce limiti. E ogni volta che il nome del suo Marco torna d'attualità, mma Tonina Pantani rinnova la sua denuncia: ''Me l'hanno ucciso. Nessuno conosceva Marco come me. So quello che dico e spenderò tutti i soldi che mi ha lasciato per arrivare alla verità''. Lo ha detto proprio lei, mamma Tonina, alla Gazzetta dello Sport, chiedendo una volta ancora la riapertura dell'inchiesta sul decesso del figlio. Lo fa dopo l'uscita del libro scritto dal giornalista francese Philippe Brunel che in 'Vita e morte di Marco Pantani' evidenzia alcuni elementi che sarebbero stati sottovalutati dall'indagine. ''Io - dice la signora Pantani - lo dico fin dal primo giorno e sono stata trattata come una pazza. Marco e' stato ucciso e l'inchiesta deve essere riaperta. Ma non a Rimini. Ho passato l'intera estate a leggere gli atti del processo e sono sempre piu' sicura che e' stato un omicidio. Marco dava fastidio a qualcuno''.

    Da tuttobiciweb.it
     
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    Caso Pantani, il medico legale conferma: tutto in regola
    «Nel caso di Marco Pantani fu eseguito da parte mia tutto quello che era necessario e autorizzato, nel massimo rispetto delle norme e in special modo di tutti coloro che hanno amato questo grande campione». Reagisce con fermezza il professor Giuseppe Fortuni, dell'Istituto di Medicina legale dell' Universita' di Bologna, parlando all'agenzia'Ansa in merito al libro del giornalista francese Philippe Brunel ed in particolare al passio in cui si afferma che «la sera dell'autopsia il medico legale si portò a casa il cuore di Pantani; era stato messo in guardia da non meglio precisati pericoli e mancava il guardiano dell'obitorio».
    «Si sta facendo una tempesta in un bicchiere d'acqua - commenta il medico legale -. Il 16 febbraio 2004 al termine della lunga autopsia eseguita a Rimini sul corpo di
    Marco Pantani, come richiestomi ed autorizzato dal magistrato che mi conferi' l'incarico, eseguii tutti i prelievi anatomici necessari per gli esami chimici e microscopici, al fine di stabilire le cause e le circostanze del decesso. Rientrato a tarda notte con il contenitore dei prelievi nella mia città, Bologna, visto l'impatto mediatico suscitato dall'evento e poichè durante il viaggio ero stato affiancato da alcune auto (che solo successivamente seppi essere auto di giornalisti che mi avevano riconosciuto), piuttosto che depositare i prelievi nei laboratori del mio Istituto, certamente ben protetti ma allora privi di custodia notturna, ritenni più prudente conservarli, per le poche ore che mi dividevano dal mattino seguente, negli appositi spazi previsti (cantine) in un mio studio che è' collegato con la mia abitazione. Certamente di ciò non diedi notizia a nessuno, neppure ai miei familiari. Il giorno seguente i campioni vennero inviati negli appositi laboratori per le analisi del caso. Preciso inoltre che le parti dei prelievi d'organo che rimangono al termine degli esami divengono di fatto 'corpi di reato' che non possono essere in alcun modo dispersi ne' distrutti, e che restano in custodia del Perito fino a diversa disposizione dell'autorita' giudiziaria».

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    Philippe Brunel: «Non ho verità, ma solo domande...»
    «Nel mio libro non ci sono 'altre verita', ma solo domande. Non faccio ipotesi, mi sono solo posto dei dubbi». Philippe Brunel, inviato di punta del quotidiano francese «L'Equipe», spiega così il senso del suo libro su Marco Pantani 'Vit et Mort de Marco Pantani' con il quale prova a riaprire il caso sulla morte del Pirata. A più di tre anni
    dalla tragedia Brunel spiega che la sua non è una contro-inchiesta giudiziaria: «Ci sono zone d'ombra, tante cose contraddittorie: ho solo voluto far vedere altre possibilità, quali per esempio che Marco in quel residence di Rimini non fosse solo, anche perché ci sono testimonianze in merito molto precise - dice il giornalista all'Ansa - Pantani in quei giorni non era solo 'chiuso, solo e delirante', così come ci vogliono far credere, lo contesto. Però nello stesso tempo non ho mai scritto che che è stato ammazzato», chiarisce l'inviato di
    L'Equipe.
    La molla che ha spinto Brunel ad occuparsi della morte di
    Pantani non è solo professionale: «Credo si tratti di una 'nostalgia del possibile' - spiega - se non fosse morto saremmo diventati amici. Ho rispetto nei suoi confronti, vorrei almeno provare a difendere la sua morte. Non sono un giudice, ma ho assistito a tutte le udienze del processo, alle quali erano presenti solo i giornalisti locali, non quelli dei grandi media italiani. Non faccio ipotesi, mi pongo dei dubbi e faccio delle domande alle quali devono rispondere soprattutto polizia e magistratura italiana. Credo però che l'Italia si sia voluta
    dimenticare della figura di Marco, rimuoverla».
    Secondo Brunel il declino del Pirata nasce con Madonna di Campiglio, quando Pantani fu escluso per ematocrito alto nel 1999: «Il ciclismo in quanto tale e il doping nel libro non ci sono, ma è chiaro che con Madonna di Campiglio inizia la morte professionale di Pantani - afferma - da quel momento per Marco inizia un meccanismo di autodistruzione. La vità un po' gliel'hanno rubata...».

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    Il Pm Paolo Gengarelli: «Per me parlano gli atti».
    «Non ho avuto modo di leggere quel libro e non ho alcuna intenzione di farlo». Così Paolo Gengarelli, pm riminese dell'inchiesta sulla morte di Marco Pantani, deceduto per overdose il giorno di San Valentino del 2004 in un residence di Rimini. Il libro a cui il magistrato si riferisce è l'inchiesta, pubblicata in questi giorni in Francia e presto in uscita anche in Italia, del giornalista e scrittore parigino Philippe Brunel ('Vie et mort de Marco Pantanì, Vita e morte di Marco Pantani - Grasset editore, 265 pagine, 18 euro), che ripercorre la vicenda giudiziaria sulla morte del campione
    di Cesenatico, sostenendo che non si sia indagato a fondo sull'ipotesi dell'omicidio. La stessa famiglia del 'Pirata' non ha mai accettato fino in fondo l'esito delle indagini condotte dalla Procura di Rimini, tanto che la madre Tonina continua a parlare di "delitto", riferendosi al figlio scomparso.
    Secondo il giornalista francese, ci sarebbero più indizi a favore del delitto che della morte per comune overdose. E così si torna a parlare di riaprire l'inchiesta, o almeno questo sarebbe il desiderio della madre di Pantani, sconvolta da alcune affermazioni contenute nel libro, per esempio quella relativa al 'trasbordo' del cuore del campione dopo l'autopsia, da parte del medico legale. «Non ho niente da dire su queste ipotesi - dice Gengarelli - per me parlano gli atti dell'inchiesta. Queste che si fanno sono solo supposizioni, speculazioni e congetture.
    Personalmente sono tranquillo poiché so che l'inchiesta è stata condotta nel migliore dei modi possibili e non per merito mio: io ho soltanto coordinato l'ottimo lavoro svolto a suo tempo dagli uomini della Squadra Mobile di Rimini, che hanno dimostrato un grande acume investigativo e hanno avuto anche un pizzico di fortuna. Infine, eventuali dubbi sulla morte di Pantani sono stati fugati dalle perizie tecniche. Mancano dunque gli appoggi pratici alla tesi dell'omicidio».
    «Ritengo - aggiunge Gengarelli - che sia già stato un grande successo aver trovato gli autori del fatto (si riferisce alla cessione di droga che ha provocato la morte del ciclista, ndr): nella situazione iniziale delle indagini, sembrava di cercare un ago nel pagliaio. Poi la Mobile ha svolto un grandissimo lavoro ed è venuta a capo della vicenda, quale si é realmente svolta». Tre imputati hanno già patteggiato, altri due hanno invece deciso di affrontare il dibattimento; la sentenza è attesa in dicembre.

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